Gli Usa e l’Iraq. Il “rapporto Baker” visto dalla stampa americana.

A cura di Salvatore Innacolo

 

 

 

 

Per risolvere ì problemi dell’Iraq non esiste una <<formula magica>>. Inizia così il rapporto che i dieci membri dell’Iraqi Study Group (noto come commissione Baker-Hamilton) hanno presentato ieri mattina alla Casa Bianca (in data 6 dicembre 2006) secondo quanto riferito dal quotidiano Chicago Tribune (www.chicagotribune.com).  

Il documento è titolato <<The Wai Forword>> (la strada da percorrere), e suggerisce al presidente Bush una serie di mosse per <<migliorare la situazione>>, raggiungere l’obiettivo di un Iraq in grado di <<autogovernarsi e autodifendersi>>, continuare a proteggere <<gli interessi degli Stati Uniti>>.Lo stesso quotidiano scrive che la commissione ritiene “Al Qaeda responsabile solo per una piccolo porzione della violenza in Iraq”. La più grande minaccia alla sicurezza viene dai gruppi di guerriglieri che tengono la nazione alle <<prese di un ciclo mortale>>.”L’approccio corrente non sta funzionando”, dice il democratico Lee Hamilton co-presidente dello Study Group.

Il Detroit News (www.detnews.com) scrive che la <<missione primaria>> dei soldati USA deve cambiare radicalmente e il più presto possibile: non più forze combattenti ma forze di appoggio con il compito di <<fornire aiuto>> all’esercito di Bagdad. Uno dei punti principali riguarda l’azione diplomatica, che deve essere “ampia” e và lanciata subito <<entro il 31 dicembre 2006>>. L’obiettivo – riferisce il quotidiano USA Today (www.usatoday.com) – è quello di creare un <<Iraq International Support Group>> che preveda la partecipazione degli Static he confinano con l’Iraq e degli altri stati del Golfo interessati alla stabilità regionale. A questo gruppo dovrebbero far parte anche i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina), l’Unione Europea e altri paesi che hanno rilevanza a livello internazionale come Germania, Giappone e Corea del Sud.

 Il New York Times (www. nytimes. com), afferma che il gruppo di studio sll’Iraq guidato dal repubblicano James Baker e dal democratico Lee Hamilton è favorevole a negoziati diretti con l’Iran e la Siria, alla riduzione graduale delle truppe statunitensi e alle pressioni sul governo iracheno affinchè assuma il controllo della <<sicurezza>>. Inoltre, lo stesso gruppo considera la soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi indispensabile per la pace in Iraq. Il quotidiano Miami Herald (www.miamiherald.com) riferisce che si tratta di un documento nella migliore tradizione bipartisan, il cui contenuto è stato accolto dalla Casa Bianca con sorrisi di circostanza ma con la consapevolezza che nelle sue 160 pagine è racchiuso e documentato il fallimento della strategia del presidente USA, di Cheney e di Rumsfeld nel paese del Golfo. Un rapporto non facile da digerire per Bush il quale ha dovuto ammettere che contene un <<giudizio molto duro>> sulla situazione in Iraq.

Il New York Daily News (www.nydailynews.com) in data 7 dicembre 2006 ha scritto che anche se ha ragione Baker nel ritenere (<<Non esiste una formula magica per l’Iraq>>), il presidente Bush dovrà trovare una reale <<exit strategy>> da proporre al Congresso e all’America. <<L’amministrazione Bush deve considerare nuovi approcci, e il Congresso dovrà essere un partner costruttivo>>. Intervistato dal quotidiano Washington Post (www.washingtonpost.com), il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha dichiarato che la situazione in Iraq è “peggio di una Guerra civile”. Secondo Annan, la violenza si è aggravata rispetto all’epoca di Saddam Hussein e la maggioranza degli iracheni vive peggio rispetto ad allora. Il segretario generale ha proposto di organizzare una conferenza internazionale sull’Iraq, ma l’idea è stata <<bocciata>> dal primo ministro iracheno Muri al Maliki.